Ringraziamenti al pubblico del 13 maggio e a tutti gli "esseri" che si sono aggregati attorno a noi...in questi mesi, per dirla all'Hadjadj
Ripensando alla sera del debutto di Giobbe al Teatro Cantero di Chiavari, ci vengono in mente una grande commozione e una grande gratitudine.
Commozione che è la stessa che abbiamo provato dalla fine dello spettacolo, quando Dio (Andrea) si è avvicinato a Giobbe (Michele) dietro il paravento, momento che ha segnato la fine della nostra avventura con Giobbe (per ora, almeno)… una commozione scaturita da tutta la bellezza vissuta durante la sera. Ma anche gratitudine perché un'esperienza come la nostra è unica: lo testimonia il fatto che, nonostante tutta la fatica, sono arrivati dei messaggi bellissimi dai più "insospettabili" della Compagnia, o che anche tra gli amici universitari che meno credevamo propensi ad apprezzare lo spettacolo ci siano stati commenti stupiti... ma soprattutto lo testimonia il fatto che tutti ci siamo sentiti un vero "strumento" nelle mani di un Altro, come se l'opera messa in scena non fosse merito nostro.
Tutti quei "bravi" che ci siamo sentiti rivolgere sembrava non fossero rivolti a noi per un particolare sforzo o una particolare dedizione impiegata in questi mesi... ci sembravano addirittura immotivati, tanto ci siamo sentiti prendere dalla gratitudine per l'opera di un Altro che ha voluto tenerci insieme anche quest'anno, mettendoci di fronte a nuove difficoltà ma anche a nuove opportunità. Il fatto che rende il testo di Hadjajd universalmente vivibile, pur essendo un testo filosofico, è che parla a tutti gli uomini degli uomini, ironizzando sempre con pietas su alcuni “fenotipi” caratteristici dei tempi che stiamo vivendo. Vediamone almeno tre segnalatici dagli spettatori forse perché più presenti in sala e quindi a rischio di essere stati colpiti al cuore. La tentazione alla pratica dell’eutanasia, raffigurata dalla moglie, è descritta così meravigliosamente da Hadjadj al punto che la drammaticità di una scelta di smettere di soffrire, o non scelta per la vita, è stata resa dal testo teatrale un tragedia bellissima. All’inizio del dramma si presenta Elifaz, il rappresentante di una religiosità sincretista, che non coglie più il volto di Dio come persona, ma come influsso cui ispirarsi; naturale è invitare l'amico sofferente a “pensare positivo”, praticando posizioni e posture orientali, tipo l’hon chi kongo, forse già attività preferita di diversi in sala, ma l’ironia del filosofo francese li colpisce consigliando la posizione della trappola per topi… E poi la figura di Zophar, il moralista, che ammonisce Giobbe con una erudita disquisizione sul fatto che la sofferenza gli provenga dal peccato suo e degli uomini, perché la giustizia prevede che esista un danno per ogni azione malvagia, colpito al cuore dalla frase di Giobbe:” spero in un Salvatore, Zophar, non in un commercialista”…
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