Elena Bono: "Una valigia di cuoio nero" torna a interrogarci

A un anno dalla morte di Elena Bono viene rilasciato l'ebook del suo romanzo "Una valigia di cuoio nero". In questo secondo volume della trilogia "Uomo superuomo", il pensiero della scrittrice, che si interroga sul perché del male, segue la storia della formazione di Tycho, da rampollo di una famiglia dell’alta borghesia tedesca, a SS crudele e esaltata al servizio del potere del Gran Ragno, della svastica, ex ruota solare che va contro il cammino del sole, nel senso della morte anziché della vita. 

La storia di Tycho, dall'infanzia alla fuga nel "collegio" segreto delle SS fino al suo ritorno a casa nel 1944, è narrata dal padre in una lunga lettera al fratello Gunther. La lettera, insieme alla decisione del padre di togliersi la vita, è scritta dopo l'incontro tra Tycho e il genitore, l'ultimo tragico atto della storia della sua grande famiglia di giuristi.
(Necropoli-Zdzislaw Beksinski)
La lettera-confessione è una lucida ricostruzione del ruolo che i diversi membri della famiglia hanno avuto nella formazione della mentalità sulla quale si sono sedimentate le durezze di cuore e la sensibilità disumanizzata del giovane SS. A cominciare dal nonno di Tycho che, sul letto di morte, davanti «a Tycho che lo fissava con strana avidità», dopo aver stretto la mano ai suoi familiari e aver ricordato al suo esecutore testamentario di voler essere cremato, afferma «A non più rivederci, in nessun luogo. Moser, ricordi: Krematorium...». Il nonno compie quello che amava definire «il rientro nel Grande Gioco delle combinazioni molecolari» e  Tycho pare molto interessato alle procedure e agli strumenti del "Krematorium".
Al padre a cui viene consegnata la scatola di zinco con le ceneri dirà solo che «in fondo, il nonno è uscito dal camino, tal quale un pezzo d'antracite».
Se il nonno, che se ne va «in nome del niente», ha creduto in modo assoluto e fino all'ultimo nella «parola della ragione», il nipote, talmente sprezzante da affermare che «neppure l'uomo dei baffetti e del ciuffo di traverso (un feticcio ci vuole per le masse)» ha capito bene la missione finale delle SS, è un cultore della distruzione, del «Grande Fumo» che consentirà il sorgere di «l'Homo Germanicus, il fondatore di un Ordine Nuovo per un determinato ciclo di secoli, fermo restando il trionfo finale della morte e del nulla, allorché tutto sarà tornato ai ghiacci eterni».

Il romanzo della Bono non è solo la messa a fuoco di una vicenda umana radicata in un periodo storico straordinario così come Tycho non è solo uno dei tanti uomini fautori del mito della razza, dello spazio vitale, delle cosmologie glaciali che hanno alimentato il mattatoio della Germania nazista.
Questo capolavoro della letteratura italiana del dopoguerra è indirettamente una lente d'ingrandimento sui nostri giorni e sul Grande Fumo di oggi, non più quello dei forni crematori, ma quello dell'individualismo più esasperato, del successo a tutti i costi, della minimizzazione dell'umano e di qualsiasi dimensione religiosa.


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